caffè

UN BAR CHE SI CHIAMA DESIDERIO

A Napoli i bar sono tanti. C'è chi sostiene che il loro numero sia infinito. Una cosa è comunque certa: tutti, dal primo all'ultimo, fanno un buon caffè. Provare per credere.
Il merito non è dei baristi. E' dei loro clienti. Cioè dei napoletani tutti. Se il caffè che gli viene servito non è più che passabile, passano immediatamente ad un altro bar.
E non fanno passare sotto silenzio l'affronto ricevuto: di quell'esercizio non mancheranno di parlar male a tutti quelli che gli capiteranno a tiro. Perché, avvertiti, non capitino lì dentro. La loro è una missione sociale
Pizza, caffè, babà e sfogliatelle: su questi temi fondamentali a Napoli il passaparola è vivace, e rapidissimo. Perché il napoletano tollera tutto (è storicamente provato): il malgoverno, la maleducazione, la malasanità, il traffico. Ma non perdonerà mai chi fa una pizza biscottata, o un caffè che sa di bruciato, cose che offendono, invece di carezzarle, le papille gustative.
Il napoletano, grande consumatore di caffè, ha in testa una personalissima mappa dei bar della città: qui lo fanno così, qui colì. I baristi lo sanno, e si regolano.
Ma la cura maniacale con la quale il barista napoletano prepara il "suo" caffè non dipende solo dalla concorrenza, vasta e agguerrita. C'è qualcosa che ha a che fare con la selezione darwiniana: è naturale che vadano avanti solo i migliori.
Prima ancora di loro, a stare in campan(i)a sono i torrefattori: quelli che procedono alla "tostatura" del caffè crudo. Nei dintorni di Napoli ci sono mille piccole industrie di torrefazione, e l'odore penetrante del caffè si spande per le strade ad intervalli regolari.
Nel napoletano viene praticata una tostatura estrema, più spinta che altrove. Il gusto che se ne ricava è più forte, più deciso.
E' solo a questo punto che entra in scena il barista. E' lui che, novello alchimista alla ricerca della pietra filosofale, miscela le miscele, per tirar fuori un caffè "unico", che caratterizzi il suo locale e fidelizzi la clientela. La ricerca è continua: alle miscele di qualità "Arabica" e "Robusta" il barista/alchimista ne aggiunge delle altre, in piccola quantità. In quest'aggiunta, frutto di lunghe sperimentazioni personali, è il segreto (e l'orgoglio) del caffettiere.
Individuata, dopo incessanti prove ed errori, la madre di tutte le miscele, il nostro la conserva gelosamente in contenitori ermeticamente chiusi, e in frigorifero: sa bene che il caffè assorbe tutti gli aromi circostanti. Ovviamente la conservazione avverrà a chicchi interi; il caffè va macinato poco prima di essere preparato, e questo è un altro dei piccoli trucchi napoletani nella storia dell'arte del caffè.
Il barista napoletano - che si sente comunque sempre maestro Caffettiere - è molto attento, ed umile, mentre adempie alle operazioni necessarie a fare il suo caffè. Ma tutta la sua umiltà svanisce a prodotto ultimato. Quando la tazzina fumante è ormai davanti al cliente.
Lui, il barista, ha finito. Ce l'ha messa tutta, e ce le ha messe tutte, le cose che servono: l'attenzione, l'abilità, e l'esperienza. Adesso perciò si sente pronto ad affrontare il Giudizio Universale. Che gli viene però centellinato: un giudizio per volta, da ciascuno dei mille clienti che entrano ogni giorno nel bar.
Il barista napoletano non ammicca al cliente: non ne cerca la complicità, non gli strizza l'occhio attraverso le tante opzioni possibili (caffè macchiato, al cioccolato, nocciolato, o vattelapesca); il suo caffè è Uno. In tazza bollente, per motivi igienici (di sterilizzazione), e perché non si raffreddi subito: spesso è già zuccherato, ed è preceduto da un bicchier d'acqua, perché il cliente si sciacqui la bocca prima di gustarlo.
Il messaggio è chiaro, e diretto: "Il caffè lo faccio io. Tu devi solo berlo."
Poi, certo, il pallino passa nelle tue mani. Se non ti è piaciuto, lo so bene, qui dentro non ci metti più piede. E ti capisco.
Il barista partenopeo non teme il giudizio del cliente. Al contrario, lo sollecita: ci tiene a conoscerlo. Mentre il cliente beve il suo caffè, il barista ne spia le espressioni, le reazioni. E alla fine gli chiede "com'era?". Per godere del successo, ma anche per farsene (Dio non voglia!) svelare i difetti; ed eliminarli.
Sui caffè di Napoli si sono spesi fiumi di parole. E si è fatta tanta letteratura. A parte quella che veniva prodotta proprio lì, nei Caffè famosi (e fumosi) come il Gambrinus, dai grandi poeti napoletani come Salvatore Di Giacomo. Un esempio: il famoso "caffè sospeso", il caffè che si paga in anticipo, e si lascia a disposizione di uno sconosciuto che poi ne godrà, è un'usanza che oggi si pratica assai meno di quanto se ne parli. O se ne sia scritto.
Il caffè non è una bevanda, perché si consuma in tre-quattro sorsi al massimo: è un estratto, un concentrato. Ma più ancora, è una punteggiatura. Un leit-motiv, un profumo che aleggia intorno quando si ha che fare con Napoli. Perché nei confronti di questa città, tertium non datur: Napoli o la si ama, o la si odora.

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