Quando abbiamo voglia di un buon caffè andiamo in cucina, carichiamo la Moka e -in un paio di minuti - il gioco è fatto. Se invece preferiamo il caffè del bar, ci basta tirarci dietro la porta di casa (non prima di aver preso le chiavi) e attraversare la strada.
Se invece vogliamo restare sullo stesso marciapiede, padronissimi: un buon bar lo si trova sempre, e rapidamente.
Bersi un buon caffè sembra facile, ma non lo è: è facilissimo. Un tempo non era così. Ancora settant'anni fa, un caffè come quello di oggi ce lo potevamo solo sognare. Se lo sognava anche di giorno, per l'appunto, Achille Gaggia: un caffettiere che aveva, oltre che un bar a Milano, una gran voglia di migliorare il caffè che veniva fuori dalle macchine dell'epoca.
Spesso quel caffè, per via di una tostatura eccessiva, era amaro: e di conseguenza, amare erano le giornate di Achille Gaggia.
"Prima o poi ce la farò", si ripeteva sottovoce, tra un tentativo e l'altro.
Ma quando quel giorno arrivò, non lo riconobbe, perché era vestito da donna. Quella donna si chiamava Rosetta Scorza.
Un tempo era stata la Signora Cremonese: suo marito era tecnico in un'azienda di torrefazione, addetto alla verifica della macinatura del caffè.
Ottima tempra di inventore, Cremonese aveva ideato il macinino a cono, e aveva pure brevettato un nuovo pistone a vite, in grado di spingere con forza l'acqua attraverso il caffè. Poi però era morto.
La moglie, la Rosetta Scorza che abbiamo lasciato sulla soglia del bar di Gaggia, aveva ereditato il brevetto, e nient'altro; perciò decise di venderselo.
I maggiori produttori di macchine da caffè non avevano mostrato alcun interesse per esso: Gaggia invece ne fu conquistato, e se lo comprò per mille lire (una bella cifra, negli anni trenta.)
Gaggia apportò all'invenzione delle decisive migliorie: c'è chi sostiene, d'altra parte, che l'intera storia di Rosetta Scorza sia un'invenzione, e che Gaggia abbia fatto tutto da solo.
La vera rivoluzione nelle macchine da caffè avvenne comunque nel 1947, ad opera dello stesso Achille Gaggia: l'introduzione della molla nel pistone - leva che fino a quel momento veniva impiegato.
La molla consentiva all'acqua di passare attraverso il caffè (macinato finemente e posto tra due caldaie, una per l'acqua e l'altra per il vapore) con una notevole forza: il caffè veniva così fuori "con la crema", una leggera schiuma marroncina.
Il caffè preparato con questa nuova tecnologia era molto diverso dagli altri. Tanto diverso, che non piacque affatto. Per pubblicizzarlo, Gaggia scrisse sull'insegna del suo locale "Crema caffè di caffè naturale".
Era nato il caffè espresso. Destinato ad unire le persone, all'inizio non fece che dividerle: a Milano i sostenitori di questo nuovo caffè con la schiuma si riunivano nei pochi bar in cui era possibile trovarlo, tra i quali i famosi Caffè Monti e Biffi, in Galleria. E là si davano convegno anche i suoi detrattori, per il gusto di sbeffeggiarne gli amatori. Era il segno del successo dell'espresso, che negli anni successivi non avrebbe fatto che crescere.
La Ferrari è la macchina italiana di cui più si parla nei bar del mondo. Nei quali il caffè viene fatto quasi sempre con macchine italiane. Le più moderne e affidabili.
C'è chi sostiene che il perfezionamento delle macchine da bar, togliendo spazio alla manualità e all'"artigenialità" della confezione, abbia prodotto l'imbastardimento degli addetti alla preparazione del caffè.
Non é così: l'occhio e la mano del manovratore sono infatti ancora fondamentali nel determinare la qualità di ciò che finisce nella nostra tazzina.
Dicevamo dell'occhio. Il barista esperto entra in azione ben prima della macchina: vale a dire, al momento di riempire di caffè il filtro, attraverso il quale passerà l'acqua sotto pressione.
Il caffè è igroscopico, e quindi assorbe umidità: se il tempo è secco, occorre impiegare un macinato a granulometria fine. Il contrario, se c'è umidità. Il barista esperto deve poi osservare con attenzione il colore e la velocità con la quale il caffè passa dal filtro alla tazza. Se il flusso è troppo veloce, e il liquido è troppo chiaro, vuol dire che il caffè non è sfruttato bene: l'acqua sta passando attraverso il caffè senza arricchirsi delle sostanze colloidali necessarie a garantirne corpo e sapore.
Quando invece il caffè scende troppo lentamente, attenzione: il macinato contenuto nel filtro resta esposto al calore per troppo tempo, e così gli oli essenziali aromatici del caffè subiscono una trasformazione chimica che lo rende amaro.
Poi, l'acqua: tutti sanno che per il caffè è importante. Non però, come comunemente si crede, per le sue caratteristiche organolettiche, ma per due parametri che vanno sorvegliati attentamente: la temperatura, e la pressione.
La temperatura dell'acqua nella macchina espresso non deve allontanarsi troppo dai 90°C canonici: quanto alla pressione che deve esercitare sul macinato, deve essere di nove atmosfere tonde tonde.
Senza dimenticarci di quello che occorre fare quando la macchina espresso è ferma. La manutenzione comincia da un'accurata pulizia: la macchinetta moka non va lavata troppo, la macchina espresso invece sì. Anche in piccola quantità, il caffè che resta nella macchina tende infatti a irrancidirsi, alterando il gusto dei caffè che verranno fatti in seguito.
Tutto questo per dire che, per quanto perfezionata e affidabile sia la componente meccanica del caffè, nella sua preparazione c'è una cospicua componente umana. Che paradossalmente è affidata ad una pompa: il cuore del barista.